Aaaaah, che bella giornata! Vedo il cielo sereno sopra di me, le giuste nuvole che mi faranno da ombra e non è troppo caldo. Oggi me la voglio proprio godere. Mi merito anche io qualche attimo di felicità, no? Be’, felicità…magari serenità, non mi voglio allargare. Sono un albero, un albero qualsiasi, senza frutti né fiori. Non ho una vita infelice, non posso dirlo. Non corro il rischio di essere tagliato un giorno sì e l’altro pure, non rischio gli incendi e non faccio neanche il finto albero contro l’inquinamento nei posti più soffocati dallo smog, dove l’unico risultato che potrei raggiungere è avvizzirmi io. Altro che ripulire l’aria! Ma non sono neanche in un bel giardino verde, con poco rumore intorno, con persone che mi guardino, che pensino alle mie foglie, alle mie radici. Per le quali io esista. No. Sono un albero spesso neanche visto. Eh sì, sono dentro ad un minuscolo pezzetto di terra davanti ad una casa disabitata e vicino ad un piccolissimo garage esterno. Do sulla strada, ma è una strada piccola, poco più che di uso privato. Con alcuni miei rami durante la giornata riesco a prendere un poco di sole, ma quasi soltanto la mattina presto, perché la casa a cui sono vicino copre il resto del giro giornaliero del sole. Mi si dirà che sono incontentabile e che questo, d’estate, è un gran vantaggio. Sì, prendiamo il lato positivo.

In questa mediocrità però, in questo anonimato, a volte vengo notato. Uno sguardo leggero di qualcuno che alza per fortuna gli occhi dal telefono verso il cielo e si accorge per sbaglio anche di me? No, ma quando mai. Lo sguardo è accigliato invece e spesso accompagnato da improperi. Perché mai mi direte? Cosa mi fa diventare all’improvviso degno di attenzione seppur negativa? Va detto che io sprigiono una specie di piccolissime gocce di resina. Minuscole. Impalpabili. Che cadono sulle auto che parcheggiano di fronte al cancello da cui io mi sporgo. Sui vetri e sulla carrozzeria. Pensavo che avrei ascoltato improperi così accalorati solo nei confronti dei miei amici piccioni e delle loro deiezioni. Ma pare che le mie goccioline di resina siano più perniciose per vetri e carrozzerie delle auto di una bella evacuazione degli uccelli. Oh caspita, che paragoni mi tocca subire! Nulla verso i piccioni, ci mancherebbe, anche se personalmente preferisco i più piccoli e musicali uccellini che in primavera allietano le mie…no, non sono orecchie, non sento attraverso di quelle, come potrei d’altronde? Non le ho! No, no alberi così, alberi qualunque come me che non sono né in un parco dove i rami possono essere sfiorati dalla brezza, né in alto su una montagna, dove anche il sole, la pioggia oltreché il vento creano canali comunicativi, sentono attraverso organi sensoriali invisibili. Abbiamo una specie di aura intorno che ci fa da ricevitore. Come se fosse una parabola, solo che esce da noi invisibile. Perché noi invisibili, sentiamo in modo invisibile. E così di cose ne sentiamo, cose piccole ma assordanti (come le cicale d’estate) o grandi anche se poco rumorose (come quel litigio mormorato di fronte a me da quei due ragazzi che si stavano lasciando). E ogni tanto qualche miagolio furioso dei due gatti delle case intorno. Vantaggi della piccola parabola in una piccola strada.

Ma ho divagato. Dunque, dicevo, le persone si accorgono solo quando “do loro fastidio” per essere inutile. Né fiori profumati, né frutti golosi e neanche un bell’aspetto fiero con una splendida ed utile ombra, ma solo un “Che ci sta a fare qui quest’albero inutile che mi rovina la carrozzeria?”

E quindi il posto sotto di me è l’ultimo ad essere occupato. Quello che tutti cercano di evitare per non dover la mattina dopo vedere una miriade di piccole gocce di resina sulle loro auto.

Mi si potrebbe obiettare che un po’ anche io me la cerco e che non so neanche cosa voglio per essere felice.

Dopo tutto, un albero di cosa ha bisogno se non di sole, di acqua e sali minerali da assorbire dal terreno e di un po’ di riparo dagli elementi atmosferici negativi in inverno ed in estate? E io queste cose le ho. Ma io non ripago il mondo con delicatezza, mi faccio invece notare per la mia irritante diffusione resinica. Dunque come posso aspettarmi uno sguardo tenero dalle persone?

Il problema è che però il loro sguardo io lo bramo. Non so cosa mi prenda né perché ne sia così bisognoso. Non sono neanche come me loro, siamo due specie diverse. Eppure vorrei tanto che qualcuno almeno mi notasse per ringraziarmi magari dell’ombra che ha coperto dal sole la sua auto. Anche lì, però, non sono il massimo. Ombra di muro. Quella cercano.

 

Spero di finire in modo diverso la mia vita terrena, di essere in fondo notato. Anche per la mia mancanza magari: “C’era un albero qui una volta.”. Chiaramente mi auguro che si fermino lì e non aggiungano “per fortuna non c’è più”. E spero di tornare in un modo diverso. Sempre albero, perché così ho imparato a vivere in questa vita e ci metterò meno a ricordarmene nella prossima (da tutto traiamo insegnamento, anche da una mediocre vita di albero mediocre). Ho pensato molto a come vorrei tornare, questo fantasticare mi aiuta nei giorni meno assolati. Ognuno ha i suoi sogni, il mio sarebbe quello di tornare come un albero da frutto. Un bell’albero da frutto con anche dei bei fiori. Un ciliegio, un pesco per esempio. Un albero semplice, non necessariamente il migliore, ma mi piacerebbe trovarmi in un piccolo giardino, dove possa allietare qualcuno con la mia presenza e con i miei prodotti. Magari potrei dare ad un bambino l’unica frutta che mangia senza capricci, quella che per lui sarebbe più dolce perché si è divertito a coglierla dall’albero. E pazienza se mi farà un po’ male arrampicandosi.

Il pensiero del mio ritorno futuro, unito a questa dolce giornata di calda primavera, mi fa stare già meglio.